Le potenti spinte esterne hanno rimesso in moto l’Eurozona e l’Italia. Gli effetti di euro più debole, tassi ridotti e prezzo dimezzato del petrolio iniziano a essere ben visibili negli indicatori; alcuni dei quali sono al top da quattro anni.
La ripresa accelera man mano che quelle spinte aumentano la fiducia e modificano le decisioni di spesa. E si consolida attraverso la sua stessa diffusione (la coralità fa la forza) sia tra le nazioni dell’Area euro sia tra i territori e i settori dell’economia nazionale, dove aumenta la quota di quelli che registrano incrementi di produzione e fatturato, anche interno.
Il PIL italiano viaggia verso un +0,2% nel primo trimestre, stima negativamente influenzata dall’inciampo della produzione industriale a gennaio (che potrebbe, però, essere ribaltato a febbraio). L’occupazione ha dato segnali di ripartenza già nel 2014 e avanzerà in presa diretta con la congiuntura; ciò aiuterà le famiglie a liberarsi dall’incertezza causata dalla crisi.
Al di là della persistente restrizione del credito (ma ci sono timidi progressi), le condizioni finanziarie complessive sono molto migliorate, grazie a cambio, Borsa e tassi; la liquidità delle imprese è stata sostenuta dal pagamento degli arretrati della pubblica amministrazione, che ha quasi compensato il calo dei prestiti bancari. Il favorevole contesto non muta la posizione competitiva dell’Italia, perché è temporaneo e comune a tutta l’Eurozona; anzi, può evidenziarne le lacune se, essendo meglio sfruttato dai sistemi più dinamici, ampliasse il divario di performance con gli altri paesi.
Anche perciò deve essere di sprone alle riforme. Nel resto del Mondo, il rallentamento USA è passeggero e verrà superato in primavera perché legato più al meteo e agli scioperi nei porti che alla rivalutazione del dollaro.
E’ invece duratura, perché programmatica, la frenata della Cina, che comunque continuerà a fornire il maggiore contributo alla crescita globale. Bene l’India, male il Brasile, malissimo la Russia.