Vibo Valentia, 29 marzo 2017 – Il referendum sul cambio, meglio precisare sull’integrazione di denominazione, ha avuto come è noto, esito negativo. Come ogni espressione democratica della volontà dei cittadini questo risultato merita pieno ed incondizionato rispetto.
Qualche riflessone però, proprio perché in democrazia vige la libertà di pensiero e di parola, ci piace farla e ci sembra doveroso esternarla.
Ciò su cui ci appare interessante riflettere è la resistenza al cambiamento, che sembrerebbe essere emersa, almeno in questo caso, con il chiaro diniego espresso dai cittadini nelle urne del quesito referendario.
Il timore di chi scrive è che questa “resistenza” possa aver influenzato in modo profondo, davvero eccessivo, la decisione di una popolazione che ha vissuto, nell’arco dell’ultimo trentennio, un percorso di crescita, una profondissima trasformazione, prima economica e conseguentemente sociale.
E’ vero, cambiare rappresenta di per se un rischio, ed a volte l’essere umano preferisce rimanere nella zona confortevole dell’esistente, magari nemmeno eccellente, piuttosto che affrontare il nuovo, l’incognito, la sfida.
Senza entrare nelle valutazioni di merito – in particolare se e quanto il “si” avrebbe potuto incidere sulla valorizzazione del centro costiero – crediamo che decidere di non modificare nulla possa rappresentare una condizione ancora più pericolosa, di chiusura alle opportunità, certe o solamente presunte.
Siamo convinti che questo territorio, questo fazzoletto di terra in cui viviamo, debba dimostrare di voler accettare le sfide, di rompere gli schemi, di abbandonare il certo (peraltro assai precario) in cerca di nuovi assetti, di nuovi obiettivi e di nuovi scenari.
Forse, questa occasione, creata da chi aveva intravisto una opportunità, aveva colto un segnale che ad altri era sfuggito (ed aveva lavorato per renderla possibile), meritava una chance di vedere gli effetti concreti che avrebbe potuto generare tale cambiamento, ma questo, purtroppo, non lo sapremo mai.