L’imprenditore enologico ed ingegnere gestionale Vincenzo Granata, 36 anni, Amministratore dell’azienda Magna Graecia, ha brevettato un dispositivo di controllo di gestione della fermentazione e della maturazione dei mosti e dei vini, secondo un principio naturale.
In una lunga intervista all’Agenzia Agi racconta la passione per la sua terra, l’amore per il lavoro, l’importanza della formazione ed i sogni ancora da realizzare. “Ho ereditato soprattutto la passione, che parte da una storia che ha iniziato il mio bisnonno. Oggi abbiamo un locale, nel centro del paese, dove lui faceva il vino, che è diventato un luogo di affinamento e anche di degustazione”.
Vincenzo Granata, con la sua famiglia, ha creato un’azienda che esporta in Canada, Stati Uniti, Inghilterra e Giappone, con un occhio anche per l’industria cosmetica. “Il futuro va sempre di più in una direzione “green” e abbiamo già fatto – spiega all’AGI – delle sperimentazioni con i nostri scarti di lavorazione per utilizzarli per il benessere della persona. Perché la vinaccia e la feccia -conclude Vincenzo – sono ottimi per curare gli inestetismi della pelle, attraverso dei massaggi. E stiamo già proponendo dei percorsi ad hoc in collaborazione con alcuni centri benessere. Siamo una piccola azienda, facciamo 50 mila bottiglie all’anno e non vogliamo aumentare la produzione: per adesso – dice Vincenzo Granata – ci bastano i 22 ettari di proprietà che abbiamo. Noi oggi così riusciamo a seguire tutto il processo, dalla singola pianta alla bottiglia – afferma il giovane imprenditore all’Agi – e io so, dal numero del lotto, da quale particella arriva il vino di ogni bottiglia prodotta. Ogni particella viene divisa in 4 parti e ogni parte viene concimata in maniera diversa – precisa Vincenzo – rigorosamente in maniera vegetale, utilizzando il lupino, il favino e il residuo del caffè di una torrefazione locale, che viene tritato nel terreno. Riusciamo, con questo protocollo di lavorazione, a raccogliere poco per ogni ettaro e questo valorizza la nostra produzione: per un prodotto IGP, il disciplinare di produzione indica che si possono raccogliere fino a 150 quintali per ettaro, la DOP Terre di Cosenza arriva fino ad un massimo di 110 quintali ad ettaro e noi invece, secondo il nostro protocollo, raccogliamo solo 50 quintali ad ettaro. E poi facciamo la potatura verde: durante la maturazione del grappolo decidiamo, grappolo per grappolo, quale mandare a buon fine e quale tagliare. Raccogliamo non più di 800 grammi di frutto a pianta, ma questo – sottolinea – vuol dire avere un frutto più ricco e un sapore intenso. Con questi sistemi produciamo vini bianchi o rosati che hanno una gradazione anche di 14 gradi”.
Nel pieno della produzione vengono impiegate una trentina di persone del luogo. “La nostra prima collezione di vini – spiega – si chiama “Gaudio”, dalla località in cui si trovano i vigneti più antichi, ed è nata 10 anni fa, unendo uve autoctone ed internazionali, come il pecorello con lo chardonnet o il magliocco insieme al merlot. Ci teniamo a dire che i nostri vigneti, sia a Spezzano, nella Presila, che a Frascineto, ai piedi del Pollino, non hanno alcun impianto di irrigazione: ci affidiamo al Signore – dice Vincenzo – e questo ci garantisce il massimo del rispetto della natura. Per esempio, quest’anno abbiamo raccolto poco, a causa della siccità. Utilizziamo soprattutto il pecorello, a bacca bianca, e il magliocco e la guarnaccia nera, a bacca rossa. Con la guarnaccia – dice Granata – abbiamo fatto un grande lavoro: è un vitigno in via di estinzione, ha una bassa resa e non lo vuole lavorare più nessuno, perché è difficile nella trasformazione. Ma ci ha dato grandi soddisfazioni: è con il guarnaccia che abbiamo vinto un premio importante, a Bruxelles, tra 59 competitori di tutto il mondo”.
Diversi i riconoscimenti ricevuti in diverse rassegne in Italia e all’estero. Tra cui, appunto, il premio del 2017 al “Concours Mondial de Bruxelles – The United Nations of Fine Wines”, dove il suo vino Baronè Rosso Guarnaccia Nera, IGT Calabria, ha ricevuto la medaglia d’oro. “Ne siamo orgogliosi, il Baronè è il nostro vino di punta, al momento – dice il giovane ingegnere – ma abbiamo diversi altri progetti allo studio”.
Se la produzione segue regole antiche, qualcosa di moderno è stato introdotto; Granata è un ingegnere e non ha potuto sopportare che ci fossero sul mercato delle macchine che gestivano il controllo della temperatura nel procedimento di fermentazione “in modo – dice – poco efficiente”.
E allora ha progettato un dispositivo che innesca la fermentazione proprio attraverso quello che lui chiama “un gioco di temperatura che provoca l’evoluzione del mosto. Noi realizziamo così un prodotto naturale, senza addizionarlo di solfiti – dice Vincenzo – e quello che un tempo si faceva solo con il cambiamento naturale della temperatura, oggi lo facciamo digitalmente, stabilizzando la temperatura con questo sistema che ho brevettato, che invece di impiegare 4 o 5 giorni impiega solo 6 o 7 ore, con risparmio di energia e di tempo”.