Lo scenario economico globale non è più contrassegnato solo da fattori favorevoli.
La frenata degli emergenti, che abbassa le stime per il commercio mondiale, la paura generata dagli attacchi terroristici, che alimenta una già elevata incertezza e modifica i piani di spesa, e l’escalation militare in Siria costituiscono venti che soffiano contro un’economia europea che non viaggia certo a pieni giri, soprattutto in alcuni paesi.
Tuttavia, rimangono prevalenti gli impulsi fortemente espansivi da tempo inquadrati, che anzi si sono irrobustiti attraverso un ulteriore calo del prezzo del petrolio e il nuovo arretramento del tasso di cambio dell’euro.
Nel Mondo intero e in molte sue singole parti l’insidia maggiore continua a rimanere la deflazione: 24 paesi registrano variazioni annue negative dei prezzi al consumo, contro 2 nel 2014.
La deflazione depotenzia l’azione della politica monetaria, aggrava il peso dei debiti e induce il rinvio degli acquisti. L’ampia capacità produttiva inutilizzata (sotto forma in particolare di elevata disoccupazione), la generale discesa delle quotazioni delle materie prime (che riflettono e insieme trasmettono le pressioni al ribasso dei prezzi), le aspettative degli operatori e le ricadute della concorrenza globale e dell’innovazione tecnologica continuano a spingere all’ingiù la dinamica inflattiva.
Ciò terrà a lungo bassi i tassi di interesse, anche negli USA dove la FED si accinge ad abbandonare la soglia zero del costo del denaro, e giustifica ulteriori allentamenti da parte della BCE.
In Italia l’economia stenta a prendere quota, come indicano i deludenti dati del terzo trimestre (ma che fine ha fatto l’ottima annata turistica?), appesantiti dai contraccolpi della debole domanda estera. Comunque, la domanda interna è più vivace e i primi indicatori qualitativi autunnali (fiducia, PMI) sono in miglioramento rispetto all’estate. In attesa che si faccia sentire la spinta del contenuto espansivo della Legge di stabilità.