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Presentato il 19° Rapporto Economico della BCC Mediocrati. Autonomia differenziata, contrari 4 imprenditori su 10

di Unindustria Calabria

Il Rapporto Economico annuale della BCC Mediocrati è giunto al suo 19° anno. L’indice di fiducia, espresso dal robusto panel di imprenditori intervistati, segna, per la prima volta, un trend positivo di crescita salendo a 102,5 (+12 punti) consolidando il miglioramento del 2022.

Il Rapporto 2023, il cui focus è incentrato sull’Autonomia Differenziata, è stato presentato nella sala De Cardona, di Rende.

Ha aperto i lavori il presidente BCC Mediocrati Nicola Paldino secondo cui “alla definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni è legata l’efficienza dei servizi pubblici, e ad essi sono inevitabilmente legate le performance delle imprese, ma definire i LEP non significa riuscire a garantirli perché sono necessarie risorse finanziarie importanti”.

Dopo i saluti del sottosegretario all’Interno, Wanda Ferro, e del direttore regionale della Banca d’Italia, Marcello Malamisura, si sono succedute le relazioni di: Raffaele Rio, presidente di Demoskopika; Rosario Varì, assessore regionale allo sviluppo economico; Emanuele Orsini, vice presidente nazionale di Confindustria; Angelo Sposato, Segretario regionale CGIL.

Augusto Dell’Erba, presidente di Federcasse, ha concluso i lavori che sono stati  moderati da Luigi Chiarello, giornalista del quotidiano economico Italia Oggi.

Numerose le autorità in sala. Per il sistema Confindustria presenti Natale Mazzuca del Consiglio Generale, Aldo Ferrara, presidente di Unindustria Calabria, Giovan Battista Perciaccante, presidente Confindustria Cosenza con numerosi imprenditori del Consiglio Direttivo, il direttore Rosario Branda.

Lo studio, realizzato dall’Istituto di ricerca Demoskopika, evidenzia che il 42 per cento degli imprenditori calabresi manifestano scetticismo, convinti che il processo autonomistico porterà maggiori vantaggi al Nord con un taglio delle risorse nel Mezzogiorno. La Calabria, con in testa Cosenza, ha il primato italiano di chi ha manifestato l’interesse maggiore per la riforma, piazzandosi in cima alle ricerche su Google Trends. Tra i servizi pubblici essenziali, bocciati il sistema sanitario regionale, la rete stradale e il trasporto ferroviario.

Autonomia differenziata: 7 imprenditori su 10 la conoscono. Come emerge dall’indagine, più della metà del campione (55,7%) ha affermato di conoscere il tema, anche se non ha approfondito, mentre poco più di 1 su 10 (12,7%) ha cercato di informarsi per saperne di più. Sono invece circa 3 su 10 (31,6%) gli intervistati che non ne hanno mai sentito parlare.

Tendenze: Calabria in testa per interesse. Analizzando Google Trends, emerge che, dal 2017 ad oggi, il termine “Autonomia differenziata” è stato cercato soprattutto a febbraio 2023, ossia in corrispondenza dell’approvazione del disegno di Legge (c.d. riforma Calderoli) da parte del Governo, che coincide anche con il maggiore interesse da parte dei media. Il termine è stato cercato maggiormente nelle Regioni del Sud Italia con in testa la Calabria, (100), seguita da Basilicata (85), Molise (70), Puglia (54) e Campania (49). Mentre la città italiana in cui si è manifestato un maggiore interesse di ricerca per questo tema è Cosenza (100), seguita da Avellino (49), Potenza (49) e Reggio Calabria (39).

Dicotomie: prevale l’orientamento dei “contrari”. Per mettere meglio a fuoco i termini della questione è stato chiesto agli imprenditori cosentini cosa pensano del fatto che le regioni possano chiedere una certa autonomia in alcune materie e trattenere per esse maggiori quote dalle tasse e dalle entrate fiscali versate dai cittadini, che non sarebbero più distribuite su base nazionale. Poco più di 4 su 10, il 42%, sono contrari all’autonomia differenziata, perché “porterà più vantaggi al Nord e più svantaggi al Sud, in quanto ci saranno meno aiuti per le regioni disagiate che avranno meno risorse per i servizi pubblici”. Più contenuta la schiera dei favorevoli, il 25,9%, convinta, invece, che la devoluzione “porterà vantaggi a tutta l’Italia, e le regioni diventerebbero maggiormente responsabili nella gestione delle proprie risorse e dei servizi pubblici”, mentre un terzo, il 32,1%, ha espresso un certo grado di neutralità dichiarandosi “né favorevole, né contrario”.

Le ragioni del “no”: potrebbe crescere il divario Nord-Sud per quasi il 60% del campione. Analizzando le risposte degli imprenditori cosentini, fra i contrari, la maggior parte (55,6%) pensa che l’autonomia differenziata contribuirà ad aumentare il divario economico fra regioni ricche e regioni povere. Un’altra quota consistente di contrari (26%) è convinta che non funzionerà perché, ad oggi, una forma di autonomia regionale come la sanità non ha portato alcun vantaggio. Per il 21,9% dei contrari, invece, si tratta di un tema politico e ideologico portato avanti da quelle regioni del Nord che vorrebbero la secessione, ed in cui si è radicata l’idea che le regioni del Sud sprecano le risorse. E fra i contrari c’è anche chi sostiene l’idea che l’autonomia differenziata possa contribuire a ridurre le prestazioni pubbliche soprattutto nelle regioni più povere (19,5%).

Non sono trascurabili le percentuali di quanti nutrono preoccupazioni per una possibile diminuzione della coesione e unione nazionale facendo venire meno i principi di solidarietà nazionale (12,4%), e di coloro che temono si verifichi un inasprimento della pressione fiscale per i cittadini e per le imprese (10,1%). Analizzando i dati per settore economico, emergono differenze fra gli imprenditori che operano nei settori dei servizi, delle costruzioni e dell’industria e artigianato.

Le ragioni del “sì”: autonomia sarà prova di responsabilità. A pensarlo 6 imprenditori su 10. Tra chi ha dichiarato di essere favorevole all’autonomia differenziata, la maggior parte (61,5%) pensa che, grazie ad essa, aumenterà la responsabilità da parte delle regioni di spendere meglio le risorse a disposizione. Gli intervistati favorevoli sembrano convinti che una maggiore autonomia, e di conseguenza un maggiore potere alle comunità locali nella gestione diretta del territorio, possa tradursi in un migliore impegno da parte degli amministratori i quali dovranno rendere conto del proprio agire in maniera diretta ai cittadini amministrati. A questi si possono aggiungere gli imprenditori favorevoli (26%), per i quali il regionalismo differenziato potrà determinare per le regioni una diminuzione degli sprechi.

“Effetti riformistici”: la metà della business community si dichiara pessimista. Ma quale sarà l’impatto dell’autonomia differenziata sul sistema economico calabrese? Circa la metà degli imprenditori, il 49%, si definisce pessimista; di questi il 12,7% crede che avrà un impatto molto negativo, e il 36,3% negativo. Ciò testimonia la preoccupazione fra gli intervistati che il “ddl Calderoli” possa contribuire a limitare ulteriormente la competitività delle imprese regionali. Più contenuta, infatti, è la quota percentuale degli ottimisti (21,6%). Di questi il 18,4% pensa che l’autonomia differenziata avrà un impatto positivo, mentre il 3,2% molto positivo. Una percentuale più o meno simile (23,4%) è rappresentata dai neutrali, ossia da chi pensa che non avrà nessun impatto, né positivo, né negativo.

Deleghe: allo Stato rapporti internazionali, istruzione, ricerca, energia e sicurezza del lavoro. Le regioni possono chiedere che siano trasferite le funzioni su una o più delle 23 materie che al momento sono esercitate dallo Stato: le 3 di competenza esclusiva dello Stato (giustizia di pace, istruzione e tutela dell’ambiente e dei beni culturali) e le 20 concorrenti (il coordinamento della finanza pubblica e tributario, ecc.). Circa 2 imprenditori su 10 sarebbero disposti ad aumentare il potere delle regioni su materie quali ad esempio, la gestione della salute (20,1%) o la gestione dei porti e degli aeroporti (23,1%), una percentuale che aumenta a 3 su 10 (32,3%) solo per l’ambiente e la valorizzazione culturale. Mentre il 63,2% degli intervistati lascerebbe maggiormente allo Stato la competenza o la gestione dei rapporti internazionali con l’estero e più della metà del campione materie come l’istruzione scolastica (58,5%) la ricerca scientifica e tecnologica (55,5%) o materie che sono maggiormente collegate alle performance delle imprese come, ad esempio, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia (53,5%) e la tutela e la sicurezza del lavoro (51%).

Servizi pubblici essenziali: la classifica dell’inefficienza.  I LEP devono essere determinati e garantiti, su tutto il territorio nazionale, con l’obiettivo di tutelare l’unità economica e la coesione sociale della Repubblica, rimuovere gli squilibri economici e sociali e fornire indicazioni programmatiche cui le regioni devono attenersi, nella redazione dei loro bilanci e nello svolgimento delle funzioni loro attribuite. Dunque, alla definizione dei LEP è legata l’efficienza dei servizi pubblici e all’efficienza del settore pubblico sono inevitabilmente legate le performance delle imprese: maggiore sarà l’efficienza del settore pubblico, maggiore sarà la produttività delle imprese.

Certo è che il parere degli imprenditori intervistati riguardo ad alcuni servizi pubblici essenziali è pessimo, soprattutto per la rete ospedaliera e il sistema sanitario, ritenuti per nulla/poco efficienti da quasi l’intero campione (96,8%), ma anche per la rete stradale, ritenuta per nulla/poco efficiente da 9 intervistati su 10 (90,8%). Altrettanto negativo è il giudizio sulla rete autostradale e sul trasporto ferroviario, ritenuti per nulla/poco efficienti rispettivamente dall’81,8% e dall’81,3%.

Servizi pubblici locali: bene internet, acqua e rifiuti. Bocciato il trasporto pubblico locale. Diverso è il discorso per i servizi pubblici locali e le utilities che la letteratura scientifica definisce come fondamentali per la qualità della vita dei cittadini e per l’assetto produttivo delle imprese. A differenza di quelli citati in precedenza, altri servizi pubblici essenziali, tra cui le utilities locali, sono ritenuti efficienti da più della metà del campione. È il caso della rete Internet, valutata molto/abbastanza efficiente dal 64,7% del campione, analogamente all’energia elettrica e al gas ritenuti efficienti rispettivamente dal 61,4% e dal 56,5% degli intervistati. Quasi la metà degli imprenditori ritiene molto/abbastanza efficiente anche il servizio di smaltimento dei rifiuti (48,8%) e il servizio idrico (47,0%), mentre più bassa è la percentuale di intervistati (32,8%) che ritengono molto/abbastanza efficiente il trasporto pubblico locale.

Clima di fiducia: prevale l’ottimismo. Per il 2023 aumenta al 27,7% (dal 13,5% del 2022) la quota degli operatori economici che prevedono una ripresa (somma della modalità “positivo” e “molto positivo”) mentre resta più stabile salendo di poco al 25,2% (23% nel 2022) la quota degli imprenditori “pessimisti” che prevedono una recessione dell’economia (somma dei giudizi “negativo” e “molto negativo”).

Nel 2023 l’indice medio di fiducia generale, per la prima volta segna un trend positivo di crescita salendo a 102,5 (+12 punti) consolidando il miglioramento del 2022 e del 2021.

Entrando nel dettaglio dei singoli indicatori, solo alcuni consolidano la ripresa dell’anno precedente, altri restano quasi stabili e altri ancora in leggero calo. In area positiva si collocano fatturato (+15,6 punti), investimenti (+10,0 punti), disponibilità di credito (10,7 punti). In area negativa, al contrario, si posiziona l’andamento della liquidità (-2,1 punti). Più stabili le previsioni su una ripresa dei livelli occupazionali a quota 100,8 che registrano un leggero miglioramento (+1,6 punti).

L’indice delle aspettative sull’economia regionale, infine, continua a rappresentare il fattore più critico collocandosi ancora in area negativa. Tuttavia nell’ultimo anno, dopo la discesa del 2022 (-5,1 punti), fa registrare un notevole miglioramento con un rialzo di ben 33,2 punti attestandosi al valore più elevato della serie storica, passando da 52,3 a 85,5 punti.

 

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